Con l’ordinanza n. 5448 del 28/02/2020 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della definizione del danno c.d. biologico-terminale e tanatologico e della relativa risarcibilità e trasmissibilità iure successionis.
La Suprema Corte asserisce che la perdita della vita, di per sé non risarcibile quale danno subito in proprio dalla persona deceduta in caso di decesso immediato o dopo pochissimo tempo dalle lesioni riportate vada invece risarcita, nel caso di decesso avvenuto dopo un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni, sotto il duplice profilo del danno biologico c.d. terminale e del danno morale terminale.
Gli Ermellini per fare chiarezza sull’argomento evidenziano che per danno biologico c.d. terminale debba intendersi il danno biologico “stricto sensu” ovvero danno al bene “salute” subito a causa dei giorni intercorsi tra la data delle lesioni e quella del decesso. Tale danno è trasmissibile “iure successionis”, ove la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore, tale essendo la durata minima, per convenzione legale, ai fini dell’apprezzabilità dell’invalidità temporanea, essendo, invece, irrilevante che sia rimasta cosciente.
Siffatto danno, proprio perché consistente nella oggettiva perdita delle attività quotidiane dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso, è sempre presente, prescindendo dalla consapevolezza dello stesso o dallo stato di coscienza. Con riferimento invece al danno morale terminale o danno catastrofale viene sottolineato che debbaidentificarsi nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire (c.d. “danno morale terminale” o “danno da lucida agonia” o “danno catastrofale o catastrofico”). In difetto di tale consapevolezza, non è concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni.