La legge Gelli – Bianco (8 marzo 2017, n. 24) ha profondamente ridisegnato la disciplina responsabilità sanitaria sia sotto il profilo penale che su quello civile. Con riferimento a tale ultimo ambito, tra le misure adottate dal legislatore risalta preponderante quella relativa all’introduzione di un doppio “filtro” di procedibilità (ex art 696 bis cpc accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa e procedimento di mediazione ex d.lgs 28/2010), previsto non in forma cumulativa, ma alternativa, su scelta discrezionale dell’attore. Rilevanti sul piano normativo figurano altre previsioni come quella relativa all’esperibilità dell’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione (della struttura sanitaria ovvero di quella dell’esercente la professione sanitaria, con conseguente litisconsorzio necessario, rispettivamente, della struttura o dell’esercente) oppure ancora la previsione che consente l’azione di rivalsa da parte della struttura o dell’impresa di assicurazione nei confronti dell’esercente la professione sanitaria o quella relativa all’azione di responsabilità amministrativa da parte del pubblico ministero contabile nei confronti dell’esercente la professione sanitaria dipendente dalla struttura sanitaria pubblica.
Focalizzando l’attenzione sul doppio filtro introdotto dal legislatore, per espressa previsione legislativa in caso di utilizzo dell’accertamento tecnico preventivo viene poi disposto il successivo e necessario esperimento del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc. Ricollegandosi invece al profilo dibattuto da anni in dottrina e giurisprudenza circa la corretta qualificazione del titolo di responsabilità della struttura sanitaria e dell’esercente la professione, sulla scorta dell’intervento legislativo diventa ormai pacifico che la struttura risponda a titolo contrattuale mentre l’operatore professionale invece a titolo extracontrattuale (salvo la circostanza che abbia sottoscritto un contratto di prestazione d’opera professionale con il paziente).
Ne discende, pertanto, un alleggerimento dell’onere della prova in capo al danneggiato allorquando decida di agire contro la struttura sanitaria al punto che questi può limitarsi ad allegare l’inadempimento contrattuale (oltre al fatto costitutivo rappresentato chiaramente dal contratto stesso), addossandosi invece in capo al convenuto l’onere di provare il fatto impeditivo consistente ad esempio nell’avere agito con la prescritta diligenza.
Al contrario risulta appesantita la posizione del danneggiato nel momento in cui decida di agire contro il medico avendo in tal caso l’onere di provare il fatto costitutivo rappresentato dalla colpa o dal dolo dell’operatore professionale. In punto di valutazione della responsabilità e di individuazione del contenuto degli oneri di probatori, determinante risultano ormai le raccomandazioni contenute nelle linee guida e quelle che sono le cd buone pratiche clinico-assistenziali che assumono portata più rilevante rispetto al passato.
Con riferimento alle condizioni di procedibilità il legislatore del 2017, forse resosi conto dello scarso successo della mediazione nella materia de qua, da correlare soprattutto alla frequente mancata partecipazione delle strutture sanitarie, pare voglia invece puntare su di un altro strumento di conciliazione, il cd. accertamento tecnico preventivo diretto alla composizione della lite, disciplinato dall’art. 696-bis cpc, prevedendolo come obbligatorio, anche se in via cumulativa e alternativa con la mediazione, e sempre preliminare al processo.
Non vi è dubbio che l’efficacia dell’accordo di conciliazione ex artt. 11 e 12 d.lgs 28/2010 non presenti differenze sostanziali rispetto a quella dell’accordo di cui all’art 696 bis cpc, tuttavia non si può negare come sussistano importanti difformità strutturali da rapportare alla differenza di attività espletata dal mediatore e dal consulente tecnico oltre che sul versante istruttorio in quanto solo la relazione tecnica redatta dal consulente nominato dal giudice può fare ingresso nel successivo processo laddove invece nel caso di mediazione l’ingresso al processo è sempre valutabile dal giudice. Non vi é quindi dubbio che l’obiettivo del legislatore sia quello di consentire la cristallizzazione preventiva di un mezzo di prova tecnico da acquisire al successivo processo (tramite la procedura del 702 bis cpc).
In estrema sintesi quindi oggi il danneggiato in via preliminare può decidere di adire il procedimento di mediazione o di esperire il ricorso di cui all’art 696 bis cpc in considerazione delle proprie valutazioni discrezionali in quanto la scelta per la mediazione, invece che per l’accertamento tecnico preventivo, comporta la scelta di percorso collaborativo e/o conciliativo che prescinda dal piano meramente giuridico che invece laddove si optasse per il procedimento ex art 696 cpc sarebbe predominante. Non vi è dubbio che laddove si considerassero adeguatamente gli aspetti conciliativi e collaborativi propri del procedimento di mediazione oltre che tutti i benefici connessi in termini di riservatezza e di incentivi fiscali la scelta del filtro da esperire non avrebbe molti margini valutativi (senza trascurare la circostanza che il verbale di mediazione ha efficacia esecutiva).
Occorre altresì considerare la circostanza che l’art. 8, comma 4-bis, d.lgs 28/2010 stabilisce che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, cpc oltre che condannare la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Sanzioni che quindi dovrebbe, almeno sul piano astratto, incentivare l’adesione della controparte.
Come però anzi narrato, il tenore letterale della riforma lascia trasparire con chiarezza che il legislatore predilige l’utilizzo dello strumento codicistico di cui all’art 696 bis cpc.
Invero il principale vantaggio dell’ accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa si apprezza sul piano istruttorio posto che la relazione del consulente, nominato dal giudice può essere acquisita direttamente nel successivo eventuale processo. Il legislatore ha inteso inoltre stabilire un necessario collegamento tra il procedimento in parola e il processo successivo, proprio prevedendo che quest’ultimo si svolga secondo le forme del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc. Il rito sommario, infatti, è un rito semplificato ed è destinato alle controversie che non presentino particolare complessità o che non richiedano una istruttoria molto approfondita (sussiste pertanto un importante snellimento dei tempi della trattazione e della decisione, che, dunque, non hanno bisogno di essere assoggettate al modello del rito ordinario di cognizione regolato dagli artt. 163 ss. cpc e alle relative e note lungaggini).
Nell’ottica della riforma del 2017 la funzione conciliativa da rapportare al procedimento di cui all’art 696 bis cpc risulta accentuata non solo dalla previsione dello stesso quale condizione di procedibilità ma anche dalla necessaria partecipazione al procedimento di tutti i soggetti coinvolti, nonché dalla previsione dell’obbligo per l’impresa di assicurazione di formulare un’offerta transattiva.
La preferenza accordata dal legislatore a tale filtro si evince anche dalle sanzioni previste in caso di mancata partecipazione delle parti che prevedono una condanna al pagamento delle spese di consulenza e di lite, indipendentemente dall’esito del giudizio oltre alla condanna al pagamento di una pena pecuniaria, determinata equitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione. Inoltre in caso di mancata formulazione dell’offerta di risarcimento del danno da parte dell’impresa di assicurazione ovvero di mancata comunicazione dei motivi contrari viene previsto che nel caso di sentenza favorevole al danneggiato, venga trasmessa copia della sentenza da parte del giudice all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni(IVASS) per gli adempimenti di propria competenza.
In estrema sintesi ricorrendo a tale filtro nel caso in cui la conciliazione venga tentata e riesca, in applicazione dei commi 2 e 3 dell’art. 696-bis cpc si forma processo verbale al quale poi il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo. Se la conciliazione invece non riesce, la domanda giudiziale diviene procedibile e i suoi effetti sono fatti salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso.
Occorre però e per concludere prendere atto che nonostante il tempo trascorso dalla sua entrata in vigore, la legge Gelli-Bianco non ha trovato ancora integrale e concreta applicazione per tutta una serie di omissioni ed inadempienze correlate a mancate adozioni normative che si augura vegano al più presto colmate al fine di poter sfruttare al massimo le opportunità normative dalla stessa previste. Solo per fare un esempio non può dirsi ancora pienamente operativo il “Sistema Nazionale per le Linee Guida” (S.N.L.G.) e inoltre, devono ancora essere approvati molti dei decreti ministeriali indispensabili alla completa operatività della legge Gelli come quelli relativi alle imprese di assicurazione e ai requisiti di garanzia delle polizze in materia di responsabilità civile sanitaria, e ciò impedisce l’effettiva vigenza della disciplina sulla cd. “azione diretta”, vale a dire la possibilità per il paziente danneggiato di chiamare subito in causa la compagnia assicuratrice.
Articolo pubblicato su Sole24Ore, visibile al seguente link: