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La risarcibilità del danno patrimoniale e il ricorso al criterio equitativo nella giurisprudenza

A cura dell’Avv. Alessandro Larussa

Commento alla sentenza n. 1033/2024 – Tribunale di Reggio di Calabria, sez. lavoro

1. Il principio della prova concreta del danno patrimoniale

Nel panorama del diritto civile italiano, il consolidato principio di fornire la prova concreta circa le conseguenze dannose di una illegittima condotta sia essa contrattuale o extracontrattuale, trova ampio fondamento nei principi generali in materia di risarcibilità del danno patrimoniale.

Tale principio è regolamentato dagli articoli 1223, 1226 e 2056 del codice civile, i quali disciplinano la risarcibilità del danno tenendo conto della causalità, della prova e, ove necessario, del ricorso proprio al criterio di equità.

Lo Studio, con gli avvocati Adolfo Larussa e Alessandro Larussa, ha difeso la società cliente nel giudizio promosso dai lavoratori ex dipendenti, incardinato innanzi il Tribunale di Reggio di Calabria – sezione lavoro, mediante il quale pretendevano il risarcimento di un presunto danno patrimoniale subito e connesso all’asserita condotta negligente del datore di lavoro; il tutto demandando la valutazione e quantificazione del quantum al criterio di equità. Il procedimento si è concluso con la sentenza n. 1033/2024, oggi in commento, mediante la quale il giudice del lavoro rigettava il ricorso per carenza di prova e connessa impossibilità di ricorrere al criterio in via equitativa.

Nel caso analizzato, infatti, emerge come la domanda attorea risulti lacunosa: da un lato, non è stata fornita documentazione probatoria idonea a suffragare la domanda, e dall’altro, il criterio risarcitorio proposto non appare sufficiente per una liquidazione del danno in via equitativa.

2. Il potere discrezionale del giudice nella liquidazione equitativa

Il giudice calabrese ha formato il proprio convincimento di rigetto del ricorso, uniformandosi ai numerosi consolidati precedenti giurisprudenziali. Tra i più rilevanti in merito, la pronuncia della Suprema Corte la quale, con la sentenza n. 20990 del 12 ottobre 2011, ha chiarito che il ricorso al criterio equitativo previsto dagli articoli 1226 e 2056 c.c. costituisce una prerogativa discrezionale del giudice di merito. Tale potere si configura come un’espressione dell’equità giudiziale correttiva o integrativa, che interviene per sopperire alla difficoltà, di un certo rilievo, di quantificare il danno in modo preciso.

La giurisprudenza sottolinea, tuttavia, un importante limite: il criterio equitativo non può supplire alla mancanza di prova sull’esistenza del danno o sulla responsabilità che ne deriva. In altri termini, l’equità giudiziale non può diventare uno strumento surrogatorio di un’istruttoria probatoria deficitaria.

3. Applicazione al caso concreto

Nel caso in esame, si rileva che il ricorrente avrebbe potuto facilmente documentare le conseguenze dannose lamentate, quali ad es. le spese di lavanderia sostenute. La mancanza di una prova concreta impedisce l’applicazione del criterio equitativo, poiché non è ravvisabile una difficoltà significativa nella produzione della documentazione necessaria.

La giurisprudenza di legittimità, come precisato dalla sentenza n. 13469 del 16 settembre 2002, consente il ricorso all’equità giudiziale solo quando l’impossibilità di provare il quantum si rivela “impervia” o particolarmente gravosa. Nel caso in oggetto, tale requisito non appare soddisfatto, rendendo inammissibile un intervento risarcitorio fondato esclusivamente sull’equità.

4. Conclusioni

L’analisi conferma che il principio della prova concreta resta un pilastro fondamentale del sistema risarcitorio, con il criterio equitativo che opera solo in situazioni eccezionali, caratterizzate da una difficoltà probatoria di particolare rilievo. Dunque, l’assenza di una prova adeguata non può essere sanata mediante l’applicazione dell’equità, evidenziando la necessità per il richiedente di predisporre una domanda ben supportata sul piano probatorio.

Autore: Alessandro Larussa

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