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L’ASSUNZIONE DEL LAVORATORE A TEMPO INDETERMINATO NELL’IMPRESA APPALTANTE

La tematica dell’appalto illecito impone di delineare i rapporti tra e ipotesi dell’appalto lecito (art. 29 comma 1 D.Lgs. 276/03 e successive modificazioni), della somministrazione di manodopera (art. 20 D.Lgs. 276/03 e successive modificazioni) e della interposizione illecita di manodopera.

L’art 29, commi 2, 3 e 3 bis prevede che: 2. In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. 3. L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda. 3 bis. Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma 2..

Il contratto di appalto è regolamentato dall’art. 1655 c.c. Quando l’impresa non è genuina essendo priva di una reale autonomia produttiva ed organizzativa (anche sotto il profilo della gestione del personale) i lavoratori addetti allo svolgimento dell’appalto finiscono con l’essere utilizzati di fatto dall’impresa appaltante. In tali ipotesi non si è di fronte ad un vero appalto ex art. 1655 c.c., bensì ad una mera fornitura o somministrazione di manodopera, e quindi ad una interposizione di un datore di lavoro puramente fittizio, in un rapporto che in realtà intercorre tra i lavoratori e l’appaltante, vero datore di lavoro. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 18 e 84 D.Lgs. 276/03, l’interposizione illecita si sostanzia in qualunque comportamento negoziale posto in essere da due datori di lavoro che coincida di fatto con una somministrazione di manodopera.

Le valutazioni rivolte all’appaltatore relative all’accertamento della presenza di una attività imprenditoriale pregressa tengono conto: a) dell’esercizio abituale di un’attività imprenditoriale; b) dello svolgimento di una propria e comprovata attività produttiva in modo evidente; c) della circostanza per cui l’appaltatore svolga propria attività produttiva stabile, professionale ed organizzata in favore di diverse imprese da tempo ovvero nello stesso arco temporale oggetto dell’appalto.

La vicenda: Consiglio di Stato (sentenza 1571/2018)

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di una società di somministrazione lavoro autorizzata e dell’Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro, bocciando un “appalto di servizi” all’Asl che in realtà “ha ad oggetto una somministrazione di personale – attività, quest’ultima, ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il ministero del Lavoro” – come si legge nella sentenza.

Il procedimento giurisdizionale ha preso le mosse dalla procedura aperta avviata da una Asl per l’affidamento agli uffici della stazione appaltante di diverse attività di supporto in campo giuridico, amministrativo, tecnico e contabile, nonché gestione dei servizi ospedalieri, archiviazione, front office, segreteria e assistenza nel procedimento di liquidazione dei documenti contabili.

Tale affidamento veniva qualificato dal bando come appalto di servizi da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’introduzione di particolari requisiti di accesso precludeva inoltre alle Agenzie per il lavoro la possibilità di partecipare alla gara, ledendo in tal modo l’interesse sia della ricorrente, che di tutte le Agenzie per il lavoro.

L’Agenzia ricorrente ha impugnato il bando di gara ritenendo non sussistente nel caso di specie un appalto genuino di servizi bensì un contratto di somministrazione. La domanda, respinta con la sentenza del Tar Lazio n. 1129/2017, è stata poi riformata dal Consiglio di Stato in secondo grado sulla base dei presupposti di seguito indicati.

È illecito l’appalto che preveda la semplice messa a disposizione di un pacchetto di ore di lavoro a favore di un terzo.

Il bando di gara relativo ad appalto di servizi non può prevedere la semplice messa a disposizione di un pacchetto di ore di lavoro in favore di un terzo, rese da addetti coordinati dal soggetto che riceve la prestazione. Tale operazione, infatti, configura una somministrazione di personale che, in quanto tale, può essere realizzata solo dalle agenzie per il lavoro autorizzate a tale scopo dal ministero del Lavoro. Per i giudici amministrativi in tale fattispecie sono presenti gli indici elaborati dalla giurisprudenza per smascherare gli appalti illeciti: richiesta di un certo numero di ore di lavoro; l’inserimento stabile del personale nel ciclo produttivo del committente; l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore e dai dipendenti del committente.

Il Collegio in conclusione ha smentito la qualificazione di appalto di servizi assegnata dalla Asl all’affidamento di una serie di attività di supporto all’azienda, ritenendo sussistente, sulla base della disamina in concreto del contenuto sostanziale delle prescrizioni di gara, un rapporto di somministrazione di lavoro. L’ Asl ha infatti previsto di acquistare un numero di ore di lavoro annue per integrare il personale interno, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività. Tale impostazione si sottrae alla logica tipica dell’ appalto di servizi, nel quale l’ appaltante assegna all’ appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse a un preciso risultato finalizzate alla realizzazione di un’ opera autonoma.

La gara è stata conseguentemente dichiarata illegittima sia per la previsione di requisiti di ammissione propri esclusivamente delle imprese che svolgono appalti di servizi e non delle Agenzie per il lavoro, sia per non aver richiesto quali presupposti per la partecipazione al bando il possesso dell’Autorizzazione Ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo, propri della somministrazione di lavoro ex art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015 e art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016.

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